Provvedimenti d’urgenza nel D.L. 25 Marzo 2020: un nuovo volto del conflitto tra competenze di Stato e Regioni?

Le aspre critiche sollevate da parte delle Regioni nei confronti dell’ultima circolare del Ministero dell’Interno che autorizzava i genitori a passeggiare con un solo figlio nel raggio di 200 metri da casa hanno portato l’attenzione su una delle questioni più discusse del nostro ordinamento, ossia quella del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Il dibattito sull’argomento ha assunto nel tempo volti diversi (dal federalismo fiscale alle istanze di indipendenza di singole Regioni) e se ne rileva l’estrema attualità anche con riferimento all’emergenza sanitaria odierna. In un tempo così particolare per il Paese, tuttavia, tutto sembra suggerire che non sia questo il momento della divisione e dell’opposizione bensì del rigore e della collaborazione, chiesti non solo ai cittadini nella loro vita quotidiana, ma anche agli organi del nostro Stato ad ogni livello. Una delle novità di maggior risonanza contenute nel Decreto-Legge 25 Marzo 2020 è infatti quella legata all’introduzione di nuove modalità di partecipazione delle Regioni ad una gestione più capillare ed efficiente dell’emergenza. Due sono gli interventi in questo senso:

  1. I rappresentanti delle Regioni possono proporre l’adozione di specifici provvedimenti restrittivi d’urgenza che, qualora adottati dal Governo, saranno efficaci per un periodo di 30 giorni, salvo eventuali proroghe che non potranno andare oltre il 31 Luglio 2020;
  2. Nel caso in cui in attesa dell’adozione di questi provvedimenti la situazione epidemiologica si aggravi e occorra una risposta immediata, le Regioni possono introdurre misure ulteriormente restrittive provvisorie che perderanno la propria efficacia nel momento dell’adozione del provvedimento proposto dalla Regione stessa. Il loro contenuto non può eccedere le competenze di ciascuna Regione né incidere sulle attività produttive, specialmente quelle strategicamente rilevanti per l’economia nazionale.

In una fase in cui è evidente la tensione tra necessità di gestire l’emergenza sanitaria in maniera da non accentuare il già esistente divario tra Regioni e le oggettive peculiarità di ciascun territorio, ci si chiede quale sia davvero il significato di queste disposizioni e, se vogliamo, il messaggio che l’Esecutivo ha voluto trasmettere. Per comprenderlo è necessario ricordare che, fino all’emanazione del Decreto in oggetto, si assisteva a un proliferare di provvedimenti Regionali dal tenore ben più rigido e restrittivo rispetto a quelli del Governo: questa “rincorsa” al potere legislativo delle Regioni rischiava di dar origine a una gestione dell’emergenza eccessivamente frammentaria e fuori controllo. Di fronte a tale rischio, il Governo ha ritenuto necessario prendere una posizione nel delineare una disciplina più puntuale dell’intervento degli Enti locali e lo ha fatto fornendo alle Regioni quello che sembra quasi un “promemoria” del modello adottato in Costituzione all’art. 117 per il riparto di competenze tra queste ultime e lo Stato: materie a competenza esclusiva da un lato, materie concorrenti dall’altro. Ecco che l’art. 2.1 del D.L. enumera una serie di ambiti – concernenti principalmente limitazioni alle persone, a esercizi commerciali e aziende – entro i quali è concesso alle Regioni avanzare proposte ed emettere ordinanze provvisorie. Osserviamo bene: i settori elencati dal Decreto in cui le Regioni possono avanzare le loro proposte sono tutti riconducibili alle materie a competenza concorrente, ossia proprio quelle in cui è lo Stato a dettare i principi fondamentali e le Regioni sono chiamate a dar loro esecuzione. Pensiamo ad esempio alla sanità, tipica materia di legislazione concorrente: il D.L. contiene solo un generico riferimento alla «adozione di misure di informazione e di prevenzione rispetto al rischio epidemiologico» e il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato che, pur non essendo la materia di esclusiva statale, il Governo intende supplire le carenze ospedaliere e operare un rinforzo delle strutture mediche, nell’ambito di una disciplina di cornice che deve rimanere riservata allo Stato. Il D.L. in sostanza ci dice allora che sì, le Regioni possono intervenire ma “l’ultima parola” spetta sempre e comunque al Governo che dovrà adottare il provvedimento proposto o confermare l’ordinanza provvisoria.

La risposta al nostro quesito di partenza, dunque, è quella che individua in questa legiferazione “condivisa” d’emergenza non un allargamento delle prerogative delle Regioni, bensì un richiamo all’ordine e un invito a mantenere il loro intervento entro i confini indicati nel D.L.

Pertanto, dall’approfondimento svolto in questo articolo è emerso come questa emergenza sanitaria abbia di fatto evidenziato un rischio di gestione disarmonica degli interventi sul territorio, proprio a causa di questo conflitto Stato – Regioni, che si spera verrà risolto una volta superato questo periodo difficile.