Come garantire il diritto alla difesa durante l’emergenza COVID19: il difficile equilibrio tra il “processo da remoto” e il principio del “giusto processo”

La situazione di emergenza determinata dal COVID19 ha comportato la necessità di un intervento su diversi fronti. Tra questi, uno degli ambiti che è stato oggetto di attenzione è quello del processo penale, per il quale sono state predisposte delle misure d’emergenza dal decreto “Cura Italia” del 17 marzo 2020.

Difatti, davanti al rischio di una paralisi dell’attività processuale, il Governo ha provato ad ipotizzare eventuali strategie che permettessero una continua celebrazione delle udienze, nonostante il momento di pandemia.

Ebbene, seppur la finalità perseguita sia ragionevole, nei fatti le misure proposte per raggiungerla non sono apparse altrettanto ragionevoli e percorribili.

Con il Decreto “Cura Italia” dapprima era stata prevista, all’articolo 83, la sospensione delle attività giudiziarie per il settore penale fino al 15 aprile, poi prorogata all’11 maggio.

Al comma 12 di tale articolo 83 si prevedeva altresì che, per il periodo compreso tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, la celebrazione delle udienze penali non rinviabili (quali le udienze indifferibili, e le udienze relative a procedimenti riguardanti persone detenute o ove sono applicate misure di cautelari, di sicurezza e di prevenzione) avvenisse a porte chiuse ovvero, ove possibile, tramite videoconferenza (al fine di garantire la partecipazione alle udienze delle persone detenute, internate ovvero sottoposte a custodia cautelare).

Successivamente poi è intervenuta la conversione in legge del Decreto Cura Italia, L.  24 marzo 2020, n. 27, con la quale è stato aggiunto all’art. 83 il comma 12bis, che ha nei fatti ampliato la possibilità di svolgimento delle udienze penali da remoto prevedendo che “dal 9 marzo al 30 giugno 2020 le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possono essere tenute mediante collegamenti da remoto”. Pertanto, sinteticamente, con tale previsione è stata estesa l’applicabilità delle modalità informatizzate alla celebrazione delle udienze penali ove non vi sono testimoni.

Tale disposizione, fin dalla sua emanazione, ha creato un forte subbuglio, perché dai più è stata avvertita l’evidente inconciliabilità del collegamento da remoto con lo svolgimento delle udienze penali.

È infatti noto a tutti che il processo penale, per le sue insite caratteristiche, non sia idoneo ad essere piegato alla logica delle videoconferenze; esso infatti si caratterizza per la sua oralità, immediatezza e per la pubblicità dell’udienza. A ciò va aggiunto il fatto che il dibattimento orale rappresenta, da sempre, luogo di formazione della prova.

Lo scenario aperto con tale legislazione di emergenza comporta dunque la rinuncia della tradizionale modalità di celebrazione dei processi penali nelle aule giudiziarie, dando spazio alle modalità informatiche, utilizzando programmi quali Skype for Business e Teams.

Proprio a causa del subbuglio creato da questa previsione il Governo ha prontamente fatto un passo indietro emanando, in data 30 aprile 2020, il Decreto Legge n. 28,  il quale ha ridimensionato la portata applicativa del processo da remoto prevedendo che, per il periodo compreso tra il 9 marzo e il 30 luglio, tali modalità informatiche non si applicano “salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti”.

Con tale previsione dunque il Governo ha lasciato, per le udienze elencate in tale comma, alla volontà delle parti la scelta se adottare o meno la modalità da remoto.

Ebbene, il “passo indietro” fatto dal Governo sembra essere indice della comprensione dell’impossibilità di piegare il processo penale alle modalità informatiche.

La possibilità di svolgere le udienze penali da remoto presenta infatti innumerevoli criticità, a partire dal rischio di una spersonalizzazione del processo; con tale modalità i protagonisti dell’udienza perderebbero la capacità di incidere sulla percezione del giudice in merito ai fatti, e apparirebbe difficile garantire il pieno contraddittorio.

A ciò va aggiunto il fatto che tali modalità informatiche rischiano di comprimere enormemente il diritto di difesa e di porre nel dimenticatoio il principio del “giusto processo”, pregnante all’interno della Costituzione Italiana.

Un’ulteriore problematica derivante dalla celebrazione da remoto delle udienze penale è quella inerente alla possibile violazione della privacy; infatti, celebrando le udienze da remoto vi è il rischio che qualcuno proceda ad una loro registrazione.

Alla luce di quanto qui detto dunque, pur riconoscendo la straordinarietà e l’imprevedibilità della situazione che ha colpito il nostro paese, che richiede la messa in campo di strumenti e modalità nuove al fine di impedire lo “stallo” dell’attività giudiziaria, è evidente però che tale necessità non possa tradursi in una lesione del diritto di difesa e dei principi cardine del processo penale.